L'importanza di che?

Sergio all’ultima replica serale de “L‘importanza di chiamarsi Ernest” di Oscar Wilde, ci dice dalla platea al palco, dove siamo noi attori, la verità su ciò che stiamo mettendo in scena da Ottobre: nessun personaggio possiede ironia, tanto meno autoironia; ogni singola battuta va detta pertanto credendo totalmente nel paradosso. Pazzo (nel senso più nobile del termine)? Sadico? Masochista? Ora, non dico che nessuno di noi abbia afferrato il personaggio, ma in tanti momenti brancoliamo un po’ nel buio… Perché darci la tanto agognata chiave di lettura alla fine di tutto (o quasi), perché?!? Forse sono troppo scemo per non pensarci su… ma mi sembra tutto qualcos’altro.

Oppure è questo e qualcos’altro insieme, tanto per amare Pinter. Credo che Sergio ci abbia fatto un bel regalo di Natale, forse il più grande che ci potesse fare: il senso dell‘esistere. O almeno una profonda riflessione sull’esistere, fatta da una personalità cosi colma e stracolma di consistenza umana. Noi attori abbiamo cercato sempre di dare un senso alle nostre battute e quindi ai nostri personaggi, ma secondo me, chi più chi meno, nessuno è riuscito a farlo pienamente.

Tutti avremmo voluto parlare con l‘Autore, chiedergli la sua verità a scanso di equivoci o approssimazioni. Quando la tournee\vita è alla fine, il regista\Dio ci svela l‘arcano. Ora sappiamo finalmente come si vola, ma le nostre ali sono troppo stanche per affrontare un grande volo, magari una transoceanica, pensando a Lindbergh. Tanto vale provarci però.

Questo si, certo. E difatti nella replica di ieri io credo di essere decollato, ma portando con me un pesantissimo senso di arrendevolezza. Forse sarebbe stato mio dovere esser contento, cullato nella consapevolezza che l‘uomo ha dei limiti anche invalicabili. Ma come essere contento, come?!? Solo un perfetto idiota può accontentarsi di vivere senza capirci nulla… Devo essere onesto (!), non ce la faccio più. E m’incazzo come una pera, cerco di ribellarmi a questa legge che sembra accomunarci tutti come tanti coglioni. Ma soccombo. Almeno per ora.
Così è la vita? Questo ci ha detto Sergio? Che la vita la puoi capire solo alla fine? Ma che senso ha? Non ha senso capirne il senso alla fine. Allora è una battaglia persa in partenza? Oppure qualcuno ce la può fare, con umiltà, passione e sagacia, qualcuno che si sacrifichi a cercarlo intensamente potrà trovarlo prima della fine?

Eppure io l‘ho cercato, giuro che l‘ho cercato, ma l’ho trovato solo per qualche istante.

Sempre che l’abbia trovato… Forse è vero che non è la mèta che conta, ma gl‘ innumerevoli
passaggi intermedi che contrassegnano il suo raggiungimento o soltanto il suo anelito.
Forse la vita è tutta uno scherzo, per cui è stupido prendersela tanto. Forse è solo un gioco,
in cui è più importante divertirsi che comprendere. Forse Sergio ci ha dato un‘interpretazione dello spettacolo della vita e, in quanto tale, non può essere l‘unica. Ma allora tutto è nulla, come disse Leopardi, e la vita non ha senso alcuno. E c‘illudiamo costantemente di acciuffare una verità, ma si tratta solo della nostra versione della verità.

Un sogno dentro ad un sogno.
Un capolavoro incompiuto.
Una poesia da lontano.
Un amore perduto.

Francesco Testi