Intervista a Sergio Pisapia Fiore

A cura di Clelia Cicero

Ho il piacere di intervistare Sergio Pisapia Fiore grazie alla breve ma intensa esperienza lavorativa che ho condiviso con lui in qualità di attrice nella sua compagnia. Gli porgerò alcune domande cercando di approfondire la conoscenza dell’attore ma soprattutto dell’uomo.

Sergio, prima di tutto ti chiedo perché hai pensato di accettare questa intervista?
Perché me l’hai chiesta tu, cioè una persona che mi conosce già come attore e, alla quale, spero di non deludere come uomo.

Hai vissuto tutta la vita di teatro, e questo non è da tutti. Come ti sei avvicinato al teatro, com’è cominciata davvero la tua avventura?
Come già ho avuto modo di dire più volte, sono nato fisicamente in un camerino di teatro, quindi la polvere del palcoscenico la conosco fin dall’infanzia; ma soltanto nel 1962, all’età di sedici anni, ho iniziato la mia vera avventura professionale.

Quando e come hai capito che volevi essere attore?
Nel 1969, anno in cui decisi di fare teatro per scelta e non soltanto per tradizione familiare.

C’è qualcuno, sempre che ci sia, cui senti di dovere qualcosa o che, almeno, vorresti ringraziare per i tuoi successi?
Beh, anzitutto il pubblico che mi segue in ogni stagione, nonché i miei bravi collaboratori (te compresa), gli organizzatori e, infine (non per ordine d’importanza), la mia famiglia (moglie, figli e nipoti) che sopporta le mie lunghe assenze.

Come ti rapporti con i numerosi giovani aspiranti attori che chiedono di imparare il mestiere da te?
Credo di instaurare un rapporto di reciprocità, poiché essi ricevono da me ciò che io ricevo da loro: lo spirito giovanile che è la linfa vitale per un attore.

Dove credi che sbaglino? Pensi che i loro errori dipendano dall’epoca in cui viviamo o da influenze sbagliate provenienti dall’esterno?
I fattori sono molteplici (ma sia ben chiaro, tutti sbagliamo). Ritengo, però, che i giovani non dovrebbero lasciarsi influenzare dai “falsi maestri”. Per quanto concerne l’epoca in cui viviamo, mi limito a citare un Grande autore americano, Jacques Burdick, il quale scrisse: “A giudicare soltanto dalle apparenze, si potrebbe concludere che col tramonto del sontuoso teatro del Rinascimento, qualcosa, in effetti, sia morto; ma le forme, diceva Platone, sono soltanto forme, non sono l’essenza. E l’essenza del teatro è l’imitazione della vita, indipendentemente dalle circostanze e dalla congiuntura storica. Una cosa è certa: finché vivrà l’uomo, continueranno a vivere il teatro e l’arte imitativa, assumendo le forme e il linguaggio più adatti ad esprimere la realtà del momento”. Ecco, forse si è persa questa visione della realtà.

Come giudichi questa disoccupazione che dilaga fra gli attori? Ha delle cause? Se sì, quali?
La disoccupazione non dilaga soltanto tra gli attori che, comunque, hanno scelto un mestiere di “eterni disoccupati”. Questo flagello tocca tutte le fasce sociali, come ben sappiamo. Vero è che l’attore è colui (o colei) che più ne risente nei periodi di crisi, ma è altresì vero che ci sono troppi attori e, spesso, senza alcuna reale preparazione artistica e culturale.

Cosa pensi delle numerose Accademie e Scuole di Teatro presenti in Italia?
Questo mestiere s’impara sul palcoscenico e non in una Scuola o Accademia che sia. L’artista non si costruisce sui banchi; sarebbe come dire che Giotto avrebbe dovuto imparare a disegnare la sua prima pecora in un’Accademia piuttosto che sopra un macigno. Così l’attore, deve prima sentirne la vocazione, scoprire il proprio talento e poi, se mai, approfondirne la conoscenza.

Che responsabilità hanno, secondo te, le Scuole di Teatro nei confronti dei giovani che desiderano avviarsi al mestiere?
Quella di non dire la verità. Ogni anno io ricevo centinaia di curriculum di allievi attori/attrici, e tutti si dichiarano già professionisti. Recentemente ho saputo che sono le stesse Scuole a dir loro che una volta diplomati sono automaticamente attori professionisti. In realtà non è così. Mi piacerebbe sapere perché le Scuole dicono tale menzogna; forse perché i giovani si illudano di diventare attori in breve tempo e, quindi, corrono ad iscriversi nelle rispettive Scuole rimpinguando, così, le casse delle stesse? Ribadisco: il teatro s’impara praticamente non teoricamente, né bastano alcuni saggi di fine corso per trasformare un allievo/attore ad attore professionista.

Ti sei mai trovato nella situazione di non riuscire a lavorare? Se è accaduto, come hai reagito?
Se intendi dire lavorare in senso lato… no, mai! Se, invece, alludevi al teatro, sì, spesso. Ho reagito come chiunque altro reagirebbe pur di non accettare compromessi: facendo altri mestieri, anche i più “umili” (sia pure per brevissimo tempo).Cosicché di giorno lavoravo e di notte studiavo (per migliorarmi) recitazione e regia.

Sergio, il tuo carattere così ostinato e passionale come ti ha condizionato nei rapporti di lavoro?
Ahi…! Siamo alle dolenti note. Il mio caratteraccio (ti ringrazio per averlo definito “ostinato e passionale”) mi ha sempre procurato seri problemi, e non solo lavorativi. Tuttavia non mi affliggo per questo; mi sono trovato un’anima gemella: me stesso. Mi piaccio e ci convivo amorevolmente.

Che cosa significa essere attore?
Il sacerdote compie un “atto di fede”, l’attore fa altrettanto, e da molto tempo prima che nascesse la figura sacerdotale.

Come reagisci di fronte a un attore di poco talento che desidera, a tutti i costi, di salire sul palcoscenico? Come gli fai capire di aver intrapreso una strada sbagliata, oppure cosa fai per fargli acquistare fiducia per intraprenderla?
Tu hai potuto constatare che sono sincero e diretto con chi ritengo che abbia poco (o per nulla) talento, anche se le reazioni di chi subisce questa mia sincerità, talvolta sono sproporzionate ed ingrate, dal momento che è la persona stessa che si rimette al giudizio di un altro. Ecco. In questo caso credo che tali persone capiscano di aver imboccato una strada professionale sbagliata, ma credo, altresì, che se fossero più umili, forse potrebbero acquisire fiducia anzitutto in se stessi, prima ancora che nell’arte scenica.

Sergio, tu sei stato direttore artistico del Centro Nazionale Teatrale nonché attuale regista della Compagnia di Prosa Teatro della Perla. Come scegli un testo? Quali caratteristiche deve avere per farlo piacere al pubblico?
Oscar Wilde sosteneva che agli inglesi li si potesse dir tutto purché li si facesse divertire; ebbene io uso lo stesso stratagemma: scelgo testi classici divertenti ma che, in pari tempo, abbiano contenuti di spessore letterario.

Quali sono le caratteristiche fondamentali che deve possedere un attore?
Sono costretto a ripetere ciò che altri colleghi hanno già detto e ripetuto, a loro volta, nel tempo: intelligenza, cultura, passione, dedizione, costanza, umiltà (quanto basta)… e ottima salute.

Quale contributo deve o può portare un attore ponendosi a confronto di un testo che intende interpretare?
Deve analizzare il testo ma anche l’autore, la sua vita, la sua epoca, il contesto storico sociale in cui è vissuto, amarlo ed accettarlo per quel che ha scritto e per la sua valenza drammaturgica che va al di là della sua ideologia, razza o religione.

Che doveri ha l’attore verso il pubblico che lo ascolta e, viceversa, quali doveri ha il pubblico nei confronti dell’attore?
L’attore ha il dovere di impegnarsi divertendosi sempre, anche quando interpreta un dramma o una tragedia. Il pubblico, a sua volta, ha il dovere di essere sincero sia nel consenso come nel dissenso, ma potrà esprimersi – secondo i dettami imposti dalla civiltà – soltanto dopo che l’attore avrà finito il suo lavoro che va, comunque, rispettato ed ascoltato in religioso silenzio.

Come consideri la situazione del teatro in Italia oggi?
Mancano due cose essenziali: gli attori e gli autori. Gli autori, o coloro che ne avrebbero le potenzialità intellettive e creative per essere tali, non hanno nessun interesse di scrivere per il teatro, preferiscono scrivere sceneggiature per il cinema o per le fiction televisive (è più redditizio). Quei pochi autori che scrivono per il teatro, invece, si riducono a sottoporre le proprie opere ai vari premi di drammaturgia (altra bufala questi premi) con la speranza che qualcuno glieli legga, oppure accontentandosi di ricevere il premio (esiguo) di produzione (ma su questo tema avrei un concetto più ampio da esprimere). Gli attori, invece… beh, mi sembra di aver precedentemente dato una risposta più esauriente in merito: non vedo un ricambio generazionale.

Qual è il rapporto tra politica e teatro?
Non posso essere scurrile, vero? D’accordo, sarò morigerato. Il potere politico, da molto tempo, ha inquinato il teatro. Nel nostro Paese il teatro è ritornato ad essere quello delle corti e dei cortigiani. Le corti di un tempo si sono trasformate in Ministeri, Regioni, Province e Comuni; i cortigiani sono le compagnie sovvenzionate con i loro produttori, registi, prime donne e primi attori. No, credo proprio che sarebbe auspicabile che la politica non avesse nulla a che fare con il teatro, neppure nel dare denaro. Il teatro deve sostenersi col “denaro del pubblico” e non con il “denaro Pubblico”. In tal caso, si eviterebbero compromessi imbarazzanti che mortificano la libera Arte.

Sergio, tu hai lavorato anche per il cinema e la televisione, come ti sei rapportato con la diversità che queste arti hanno rispetto al teatro e in relazione, anche, ai luoghi, alle atmosfere?
Quando mi viene chiesto che mestiere faccio, rispondo: “l’attore!”. A questo punto mi viene posta la fatidica seconda domanda: “attore di teatro, di cinema o di televisione?”. Tu hai ragione quando fai dei distinguo tra cinematografia, televisione e teatro. Tuttavia, tale diversificazione riguarda i tecnici(registi, direttori di fotografia, etc…) e non gli interpreti i quali devono fare solo, ed esclusivamente, gli attori.Guardiamo il cinema americano, per esempio, o quello anglosassone in generale, oppure i francesi, i tedeschi… Gli attori, quelli veri, provengono quasi tutti dal teatro.

Dopo una carriera così profondamente legata al teatro, nell’accezione più vera del termine, accetteresti un piccolo ruolo in televisione o al cinema?
Dipende. Se nel cast ci fossero veri attori, sì! Meglio essere ultimo tra i migliori che primo tra i mediocri.

È vero che “non esistono piccoli ruoli, ma soltanto piccoli attori”?
Beh, ci sono attori alti e attori meno alti… (è soltanto la rilettura di una battuta di Wilde che tu ben conosci).

Come si può conciliare, se si può, una vita di attore con il desiderio di avere anche una famiglia?
Se la famiglia riesce a conciliare con la vita dell’attore, sì, si può.

Premettendo che per un attore, come mi hai detto tante volte, la prima cosa è il teatro, come si possono “sopportare” e accettare i numerosi “no” che s’incontrano sulla propria strada?
Continuando a percorrerla, con la speranza di ottenere un “sì”. In una parola: perseverare.

Sergio, quando e perché, ad un certo punto della tua vita, hai deciso di metterti in proprio?
Quando ho capito che non avevo nulla da spartire con i colleghi e con i capocomici.

Come si può star vicino a Sergio/attore per essergli d’aiuto, e cosa bisogna evitare per non dargli fastidio?
Con la sincerità, per essermi di aiuto, con l’ipocrisia, per darmi molto fastidio.

Per fare questo mestiere ci vogliono tante cose: umiltà, fortuna, determinazione, talento, egocentrismo… Pensi di possedere naturalmente queste doti o hai lavorato su te stesso per ottenerle?
Mi sono messo in discussione più volte durante l’arco della mia, ormai, lunga esistenza. Alcune cose del mio carattere le ho mantenute, altre le ho modificate. Riscoprirsi è sempre una piacevole sensazione.

Discutendo sui vari metodi di recitazione,ho sempre sentito dire da te che il migliore e, forse, unico modo per imparare il mestiere, sia un rapporto diretto col teatro fin dall’inizio. Vuoi esplicitare meglio il tuo pensiero?
Ci proverò. Avevo dodici anni, circa, quando chiesi a mio padre cosa bisognasse fare per diventare attori, lui rispose: “perché, tu vuoi fare l’attore?”, timidamente risposi “sì!”. “Bene!”, replicò mio padre, “allora inizia a scopare il palcoscenico e raddrizzare i chiodi”. Lì per lì restai basito e pensai che mio padre volesse sviare il discorso o prendersi gioco di me. Poi, nel tempo, capii il senso di quella risposta. Il teatro bisogna viverlo nella sua interezza, bisogna “calarsi” non soltanto nei ruoli, nei personaggi da interpretare, bensì nell’essenza del teatro che è l’essenza stessa della vita.

Come potresti descrivere la sensazione fisica che dovrebbe provare un attore durante l’interpretazione di un ruolo?
Per carità, aborro i metodi precostituiti (il metodo Stanislavskij, per esempio). “Il mio scopo non è insegnarvi a recitare. Il mio scopo è aiutarvi a creare un uomo vivo da voi stessi”. Questo è quanto proponeva Kostantin S. Stanislavskij. Io non ho la pretesa e la presunzione né di essere un maestro né di essere un eccelso regista. Applico la mia convinzione che si basa su esperienze di “vita teatrale”. Io gioco con il teatro nella stessa ugual misura con cui gioco con la vita e senza pormi rovelli intellettuali.

Quanto conta per te la tecnica?
Nella stessa misura in cui conta un metodo: zero! Per me contano soltanto due cose, il talento naturale e l’esperienza. Due cose che il pubblico avverte e apprezza ineccepibilmente.

Per concludere: cosa non ti ho chiesto e che vorresti chiederti?
Beh, potrei chiedermi, per esempio, se il teatro, al giorno d’oggi, ha senso di esistere ancora, e la risposta che mi darei sarebbe questa: sì, finché l’umanità avrà senso di esistere.

Clelia Cicero